LUCA MARCHESINI
testi teatrali - narrativa
(S)PUNTI INTERROGATIVI
Estratto da "ODISSEA" 2013
Blog di cultura, dibattito e riflessione diretto da Angelo Gaccione www.libertariam.blogspot.it
“Proletari di tutti i Paesi unitevi”: un'eredità cosmopolitica di stampo settecentesco capace ancora di riassorbire il richiamo romantico alle radici nazionali, solo facendone ruotare l'asse da verticale a orizzontale; sostituendo i confini fra gli Stati con confini di classe, la guerra nazionale con la guerra (lotta) di classe; dove tuttavia il proletariato viene infine a configurarsi come classe universale, riassorbendo in sé il ruolo della ragione illuministica.
Probabilmente, nel caso dell'Illuminismo, o, nel caso di Marx, più che probabilmente, un errore di calcolo; un nobile errore di calcolo. I romantici assertori di mitologie nazionalistiche (particolaristiche) potrebbero anche avere una facile, ignobile ragione.
L'uomo reazionario e l'uomo fascista non coincidono; nel senso che il fascista è sempre nel fondo un reazionario (qualunque cosa ciò voglia dire) ma il reazionario non necessariamente è un fascista. Anzi, il reazionario puro tutto sommato non lo è, mancandogli, del fascista, tutto l'armamentario neo-pagano iperattivistico e fallocratico. Il reazionario puro in genere non ha bisogno di pose rodomontesche.
Al contrario, donna reazionaria e donna fascista tendono a coincidere. Questo perché, mentre l'uomo fascista presenta il proprio volto reazionario all'interno della famiglia ma all'esterno è chiamato a mostrare un volto sempre al fondo reazionario ma autoaffermativo e dunque vagamente trasgressivo, la donna fascista deve essere come il fascismo la vuole: sottomessa, sposa e madre, perennemente incinta (secondo uno schema tipicamente reazionario), caratterizzandosi tuttavia per la disposizione a non accettare tutto ciò in modo puramente passivo (altrimenti, per paradosso, non potrebbe essere né fascista né reazionaria, fascisti e reazionari non contemplando la possibilità, per una donna, di occuparsi di politica, di prendere posizione, e dunque neppure di essere reazionaria o fascista) ma, al contrario, rivendicando, con maschile cipiglio guerriero, il proprio ruolo subordinato di femmina. Un proto-esempio di donna reazionaria (fascista)? Nel Re Lear: Gonerilla, quando, idealmente rivolgendosi all'amato, gli dice che a lui è dovuto ciò che il marito usurpa. Sta parlando del proprio apparato genitale, di cui il marito sarebbe indegno in quanto mite e riflessivo e dunque smidollato: vuole essere schiava, ma di qualcuno che secondo i suoi parametri sia degno di possederla come schiava. Sarà lei, guerriera, a decidere davanti a chi deporre docilmente le armi.
Niente di troppo. Ineccepibile. Come tutte le tautologie.
L'umorismo fine nasce dal disvelamento di ciò che sapevamo e non sapevamo di sapere, la comicità di bassa lega dal finto disvelamento consistente nel dire ciò che sapevamo e sapevamo benissimo di sapere e che ragioni perlopiù di buona creanza impediscono di manifestare troppo spesso.
L'uomo che non sa (che cosa, e in base a quali parametri? Ma passiamo oltre) non è libero quanto quello che sa (ut supra). Dunque istruirlo è renderlo (più) libero. Mettiamo però che lui non voglia essere istruito: se lo istruisci a forza, il lui di dopo magari ti ringrazierà (di averlo reso ora più libero), il lui di adesso ti accuserà, non senza ragione, di stare conculcando la sua libertà di non venire istruito.
Per una critica e un'apologia dello Stato educatore (illuministicamente paternalista-autoritario).
A questo punto, l'essere stata, per un certo periodo, la parte meno abbiente della popolazione, e segnatamente la classe operaia, su posizioni laiche, internazionaliste, diciamo così progressiste (cosa che a quelli della mia generazione sembrava un dato ovvio e destinato a durare nel e oltre il tempo), sempre più appare come una temporanea e vistosa anomalia (la maggioranza, il cosiddetto, con termine generico e vagamente truffaldino, popolo, è, da sempre, e in un certo senso per definizione, gregaria e dunque tendenzialmente reazionaria); frutto, forse, di un tardo e mediato contagio illuministico.
Altro che Übermensch: sarebbe già tanto riuscire a realizzare l'oltrescimmia.
A costo di passare per oscurantista, dichiaro qui di nutrire qualche perplessità circa i matrimoni omosessuali. E spiego perché.
Non ho ovviamente nulla contro l'omosessualità; semmai, contro il matrimonio. Il matrimonio in quanto tale rappresenta una sorta di contratto di schiavitù (più bilaterale e bilanciato nelle società moderne, più asimmetrico nelle società arcaiche), che implica la rinuncia ad alcune libertà fondamentali dell'individuo e con ciò stride con i fondamenti dello Stato liberale. Ciò, ovvero una tale eccezione, può essere giustificato solo sulla base dell'importanza fondamentale che ricoprono, per ogni società, la riproduzione dei suoi membri e l'allevamento delle nuove generazioni; il che costringe a porre, intorno ai luoghi (ideali) deputati a tutto questo, una particolare barriera protettiva. Uno stato d'eccezione, che esige procedure eccezionali: tale la ratio.
Ma se tale è la ratio, perché estendere simili misure emergenziali anche là dove la mancanza stessa dei presupposti di base (in sostanza, la capacità riproduttiva) le renderebbe del tutto incongrue? Chi ha detto che, in mancanza di quei presupposti, i rapporti sessual-affettivi fra gli individui debbano essere fondamentalmente diadici anziché triadici o quant'altro? La coppia omosessuale: una sorta di scimmiottatura della coppia eterosessuale, in assenza delle condizioni che rendono la seconda una soluzione particolarmente funzionale. Estendere le misure d'eccezione che la società, anche la società più liberale, è in un certo senso costretta ad applicare al sesso procreativo, estenderle anche là dove la situazione non lo esige, mi sembra paradossalmente il primo passo verso una sorta di militarizzazione-fascistizzazione generalizzata della società stessa: come applicare le misure di sicurezza che circondano i centri nevralgici di un Paese, tipo dighe o centrali elettriche, anche alle fontanelle.
A parziale rettifica di quanto sopra. Le considerazioni appena esposte hanno senso in quanto si riferiscano all'istituzione matrimoniale di tipo tradizionale, intesa cioè in senso forte. A fronte dell'attuale tendenza a un suo depotenziamento (con la possibilità di ottenere il divorzio in tempi non lunghissimi, e la depenalizzazione dei reati di adulterio e abbandono del tetto coniugale), la consistenza di esse viene in larga misura meno.
Secondo una certa visione, riconducibile, forse più che a Marx, a certi suoi epigoni, il potere politico (e dunque anche il potere militare) deriverebbe dal potere economico. Ora, è pur vero che una pistola bisogna essersela comprata (a meno di non essere in grado di fabbricarsela, e anche in questo caso bisogna essersi comprati know how e utensili adatti). Ma, in ultima analisi: mettiamo che su un'isola deserta si trovino due persone, l'una munita di pistola e l'altra di un prezioso sacco di nocci di cocco. Quale delle due cose passerà a chi?
I profondi si dividono fra incanto e disincanto. In mezzo: il non incanto; il mai incanto.
Quante cose può dire l'ubriaco al non ubriaco. E viceversa.
L'imperativo categorico è solo un imperativo ipotetico a cui è stato tolto un pezzo.
Minosse si è inventato il taurino adulterio per esorcizzare l'animale che porta in sé.
(In un certo senso, si è quindi inventato anche Dedalo.)
Non giudico le persone dal fatto che recitino o meno una parte (forse solo i morti non recitano), ma da come recitano. Sopporto gli attori cani solo a teatro.
La lingua tedesca, specie nel canto, ha le sonorità di un'acqua di sorgente che rimbalza su pietre ben levigate.
La congettura di Goldbach. Possibile traduzione: ogni multiplo di due maggiore di due è la somma di due numeri con due soli divisori.
L'odine delle conseguenze logiche, rispetto a quello delle conseguenze temporali, è rovesciato.
Il fatto che ciò che in certi insetti è mimetico rispetto a possibili predatori non umani lo sia anche rispetto a me fa pensare che la struttura sensibile (in questo caso perlopiù visiva, ma non solo) di molti viventi sia suppergiù la stessa (un realista metafisico si spingerebbe oltre). Ma chissà di quanti viventi non scorgiamo la natura mimetica semplicemente perché tale essa non è per noi.
Mi viene difficile immaginare una donna solipsista. Sola (ego) ipsa. Stride.
Il cielo diurno non esiste, se non come miraggio: un'azzurra rifrazione.
L'Italia (o la Francia, l'Olanda...) non esiste: un territorio? Un insieme di persone che parlano la stessa (?) lingua?
Ma, insomma: che cosa esiste?
Dice un provrerbio siciliano (traduco): Chi non sa cosa fare pettina il cane.
Applicato alla vista: fosfeni.
Un'assai italiana porcheriola è il cosiddetto familismo amorale. Il fatto è che il familismo amorale è ciò che tiene il posto, in Italia, di qualcosa che alberga in tutti o quasi gli altri paesi e da cui noi italiani siamo pressoché immuni: il, chiamiamolo così, nazionalismo amorale. Right or wrong, my country: la versione anglosassone del nostro tengo famiglia.
Colti si diventa. Ma coltivabili si nasce.
Cultura: ripensamento; non importa di cosa.
In ogni etica di stampo materialistico si annida una contraddizione. Sia detto non contro le visioni materialistiche ma contro ogni etica.
Seneca genera (per così dire) Nerone. Marco Aurelio genera (per così fare) Commodo.
La pacatezza della ragione genera mostri?
Nella storia, dei fiumi la follia fa spesso le scaturigini; la saggezza, gli argini e tutto il resto. Nella storia e non solo.
Quando in te la ragione arriva a porsi contro la vita, sei giunto alla fine. Un uomo di Chiesa potrebbe sottoscrivere. Solo che lui e io non vogliamo dire la stessa cosa: lui parla in difesa della vita; io, della ragione.
I giovani delle epoche contraddistinte da grandi attese collettive non fanno in genere che esasperare in senso consequenzial-guerriero (complice anche il ribollimento ormonale) l'etica dei padri. Sono dei tradizionalisti camuffati.
Si possono giudicare le persone da quello che rispondono quando si chiede a una di loro quale sia il suo peggior difetto: i più stronzi ne approfittano, fingendo di confessare un difetto, per millantare un pregio.
A volte uno ha quasi l'impressione, il tempo, di non averlo saputo trattenere abbastanza. Un po' come se fosse colpa sua.
In un dizionario di una qualsiasi lingua, le parole da definire sono poi le stesse con le quali le si definisce. Il linguaggio, in particolare il linguaggio verbale, è autoreferenziale: un sistema di specchi che non fanno altro che rispecchiarsi tra loro (e dunque non rispecchiano nulla).
Non si esce da una tale tautologica vuotezza se non facendo ricorso alla definizione ostensiva. L'ostensione, tuttavia, ubbidisce a regole precise (lo stesso dito puntato implica una tacita convenzione, quella in base alla quale, prolungando indefinitamente il segmento rappresentato dal dito, il primo oggetto solido che tale prolungamento incontra è ciò a cui intendevamo riferirci). Se tali regole pretendessimo di enunciare verbalmente, o comunque nei termini di un linguaggio convenzionale, torneremmo alla precedente aporia. Dunque tali regole non possono essere definite all'interno del sistema di segni che esse stesse regolano, garantendone la significatività col rapportarlo ad altro (a un universo di significati a esso anteriore). Deve dunque trattarsi di regole pre-convenzionali (o legate comunque a una convenzione più profonda, altre rispetto al sistema di convenzioni più o meno consapevolmente e volontariamente stipulate fra esseri umani): tendenzialmente, innate; legate alla struttura stessa del vivente. La vita comincia (si stacca dall'inorganico), in un certo senso, là dove comincia il linguaggio.
E, tuttavia: dietro un linguaggio, sempre un altro linguaggio. E così indietro, sempre più indietro: dall'organico all'inorganico a...
Il primo vagito dell'universo: una fluttuazione quantistica, una fluttuazione linguistica.
Per poter dire che Achille ha superato (raggiungerla non poteva) la tartaruga, è necessario che 1) i due abbiano seguito lo stesso percorso, cioè occupato via via le stesse caselle spaziali: cosa impossibile, in tempi diversi e con diverse volumetrie; 2) il corpo dell'uno e dell'altra abbia confini netti, cioè che nel loro caso la natura faccia i famosi salti; 3) in fase di sorpasso i due corpi si siano compenetrati; 4) nessuno abbia barato alla partenza, non mantenendosi, prima del via, in stato di quiete assoluta: cosa impossibile, il passaggio dalla quiete al moto (e viceversa) essendo logicamente contraddittorio; 5) eccetera.
L'aporia segnalata da Zenone potrebbe nascere dall'assolutizzazione metafisica di concetti mutuati dall'esperienza, come quelli di corpo, contatto, quiete, moto rettilineo eccetera: concetti apparentemente familiari, che in condizioni estreme rivelano una costitutiva indeterminatezza.
Rispetto al non vivente, che cosa caratterizza il vivente? La capacità di riprodursi (non solo di creare individui simili, ma di ricostituire istante per istante la propria stessa struttura fisica)? O solo una sorta di interno finalismo? (Lasciando da parte qualsiasi riferimento all'ambiguo concetto di coscienza.) In fondo, la stessa cosa: se il finalismo caratteristico del vivente non si compendiasse nel fine specifico dell'autoriproduzione, si annullerebbe automaticamente. Ma, poi, che cosa si deve intendere per finalismo? Solo una forma particolarmente complessa di causalità, diciamo così, meccanica (in senso lato). Dunque, ciò che indichiamo come vivente non è che un sistema complesso che attraverso meccanismi complessi produce in ogni istante qualcosa di molto simile al se stesso dell'istante che precede. Ma cosa vuol dire simile? Simile rispetto a quali parametri; a quale osservatore (il concetto di somiglianza, a differenza di quello di identità, rimandando a qualcosa di relativo)? Dunque, traducendo: vivente è ciò che, istante per istante, morendo, produce qualcosa che qualcuno, un qualsiasi ipotetico soggetto, percepisce come simile a esso.
Una conseguenza paradossale di quanto osservato sinora è che il concetto stesso di vita sembrerebbe assumere così un carattere relativo: se a produce a*, e a* è simile ad a rispetto ai parametri di Tizio ma non a quelli di Caio, a potrà essere considerato insieme vivente e non vivente: vivente rispetto a Tizio, non vivente rispetto a Caio.
Ma proseguiamo. Due cose in assoluto non simili non esistono: due cose, cioè, che non possano essere percepite come simili da alcun soggetto possibile. Da ciò la conclusione che le vite sono tante quanti gli infiniti (sempre che non ci troviamo di fronte a un discretum; ma passiamo oltre) segmenti che fra loro collegano gli infiniti punti dello spazio e del tempo, fra i quali punti uno o l'altro degli infiniti soggetti possibili necessariamente individuerebbe una somiglianza-continuità. Anzi: poiché ciascun soggetto non può non percepire se stesso in termini di continuità temporale, e dunque come una successione di istantanee in cui esso appare a se stesso sempre a se stesso simile, ogni vita giustificherebbe in base alla sua semplice percezione di sé il proprio carattere vitale: una sorta di causa sui.
Si potrebbe continuare.
(Corollario. In una simile prospettiva, organismi viventi in numero almeno tendenzialmente infinito si intersecherebbero senza reciprocamente percepirsi come tali e rimanendo sostanzialmente estranei.)